La giungla dei termini del riciclo
La giungla dei termini del riciclo
Il 78% degli europei concorda sul fatto che le questioni ambientali hanno un effetto diretto sulla loro vita quotidiana e sulla loro salute (Commissione europea, Eurobarometro speciale 550 – “Atteggiamento degli europei nei confronti dell’ambiente”: Marzo-Aprile 2024, https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/3173). Ritengono che la plastica sia il tipo di rifiuto più problematico nel loro Paese. Meno rifiuti, meno plastica e più riciclo sono le misure più comuni. Tuttavia, questo forte desiderio di cambiamento apre opportunità per il marketing di molte aziende fino ad arrivare al greenwashing. Gli innumerevoli termini, da quelli tecnici alle parole d’ordine del marketing, sono quasi indistinguibili. La panoramica che segue intende fornire un orientamento nella giungla dei termini, in modo da non essere ingannati dai green washers.

Che cos’è il Greenwashing?
E’ l’uso deliberato di termini che possono essere fraintesi o che sono addirittura una frode intenzionale per presentare un prodotto come sostenibile. Esempi di questo tipo sono l’uso di termini come “100% riciclabile” su imballaggi che sono riciclabili al 100% da sempre! Ad esempio le confezioni dei gelati, i flaconi di shampoo, le bottiglie di bevande realizzati in monomateriale. L’enfasi sul riciclo è stata posta da quando è cresciuto l’interesse del pubblico per la sostenibilità, senza alcun risultato reale. Il consumatore rischia di confondersi e di prediligere questi prodotti pensando di fare una buona azione quando la scelta corretta dovrebbe ricadere su materiali “riciclATI” non solo “riciclABILI”.
Le dichiarazioni relative all’impronta di CO2 sono ancora più complesse da valutare. Molte aziende autoproclamano una presunta “neutralità climatica”. I problemi vanno da certificati dubbi a emissioni di CO2 deliberatamente sotto calcolate per minimizzare i costi. Ciò è reso possibile dalla mancanza di una base di calcolo standardizzata e dalla mancanza di basi legali. Un ulteriore problema è che queste aziende non implementano necessariamente azioni per ridurre le proprie emissioni di CO2 e ciò impedisce l’innovazione nel campo della sostenibilità.
Cosa deve cambiare?
Riciclaggio, riciclabile: questi termini descrivono che il materiale può essere riciclato, cioè lavorato di nuovo. Non dicono se il materiale riciclato è già stato utilizzato. Occorre fare una chiara distinzione tra materiale riciclabile e materiale riciclato. Occorre chiedersi in che misura il materiale possa essere riciclato, se è possibile un riciclo equivalente, il cosiddetto upcycling, o se invece è possibile riutilizzare solo una parte del materiale oppure creare prodotti di qualità inferiore, downcycling. Ad esempio, la plastica colorata spesso può essere riciclata solo in prodotti inferiori o viene riciclata termicamente, i materiali compositi invece non possono essere separati. Il riciclo termico è una semplice combustione della materia prima e quindi non può essere considerato un vero riciclo.

La selezione della plastica proveniente dalla raccolta differenziata usata per ottenere nuovo riciclato di alta qualità. © Tana-Chemie
C’è riciclato e riciclato! Spesso si spaccia per “plastica riciclata” il cosiddetto riciclato post-industriale PIR: gli scarti della plastica che si raccolgono durante il processo produttivo e che non sono mai stati in circolazione. Solo il vero riciclato post-consumo (PCR) è plastica usata proveniente dalla raccolta domestica. Questa plastica proviene da prodotti che sono stati raccolti in un sistema di raccolta municipale, separati in impianti di selezione e poi riconvertiti in riciclato di alta qualità. Da anni è possibile utilizzare fino al 100% di materiale riciclato in molti settori, ma non in tutti. Affermazioni come “imballaggi con il 30% di materiale riciclato” vengono presentate come se si trattasse dell’ultima, rivoluzionaria conquista mentre Werner & Mertz crea flaconi riciclati al 100% dal 2014! Tuttavia, l’uso di materiale riciclato di per sé non è sufficiente per un imballaggio sostenibile, perché idealmente, anche gli imballaggi realizzati con plastica vecchia dovrebbero essere ancora qualitativamente riciclabili. Ciò significa che si dovrebbe utilizzare un monomateriale trasparente piuttosto che un materiale composito.

Ogni dettaglio conta: Tana-Chemie continua a ottimizzare i suoi imballaggi riciclati. ©Tana-Chemie
Cosa fa di diverso un’azienda sostenibile?
In linea di principio, un’azienda sostenibile cerca innanzitutto di ottimizzare ogni fattore della propria catena del valore: dalle materie prime, all’energia utilizzata, al luogo in cui il prodotto finisce. Questo processo di ottimizzazione non finisce mai perché ogni dettaglio è importante. E’ importante anche ottimizzare le catene di fornitura. “Una strategia sostenibile può avere successo solo se si evita e si riduce costantemente la CO2. Siamo orgogliosi di produrre con imballaggi riciclati fino al 100% e, naturalmente, continuiamo a ottimizzare a tutte le fasi produttive”, spiega Markus Häfner, Managing Director di Tana-Chemie.
Come si fa a non cadere in trappola?
Utilizzate correttamente le vostre conoscenze: riflettete sulle differenze di significato dei termini e iniziate a distinguere tra materiale riciclabile e materiale riciclato. L’imballaggio migliore è quello che ha la massima percentuale possibile di riciclato e che può essere riciclato di nuovo. Usate il buon senso per interrogarvi su ciò che state cercando e sul reale significato dello slogan. Informatevi sull’azienda. Quelle veramente sostenibili agiscono in modo trasparente e sono partner di lungo termine per i propri clienti.